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VOLTATI EUGENIO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 giugno 1981
 
di Luigi Comencini, con Saverio Marconi, Dalila di Lazzaro, Bernard Blier (Italia, 1980)
"Spegni quella radio, dice al ragazzino l'amico di suo padre, che lo sta riaccompagnando in macchina. E quello non solo non la spegne, ma aumenta il volume. Guarda che se non la smetti ti faccio scendere, gli dice alla terza o quarta volta. Il ragazzino ci pensa un po' su, e poi la rimette a tutta forza. Ed eccolo per la strada, in mezzo alla campagna. Così scompare Eugenio e così inizia il film di Comencini. Quella di Eugenio non è quindi una fuga o un rapimento. È una scomparsa: logica conseguenza di uno stato di cose, di un fallimento familiare, che il regista esamina a partire da quel momento con una serie di flashback. Ricostruzione strutturalmente impeccabile (cosa che non si poteva sempre dire del più noto L'INGORGO), VOLTATI EUGENIO spacca quindi una famiglia, una società, dei legami che partono dai nonni di Eugenio per giungere fino al post-sessantotto del quale il ragazzino è figlio: uno spaccato, di una ironia a tratti feroce, che talvolta colpisce nel segno. Ed eccoci quindi ad una scena come quella finale, con tutta la famiglia fasulla che s'intenerisce attorno ad un neonato vitellino, mentre al ragazzino, da sempre trascurato, non rimane che andarsene, e questa volta per sempre, verso la difficile età matura.

Talvolta meno: e sono gli accenni, per esempio, al militantismo politico e femminista di Dalila di Lazzaro, alquanto approssimativi anche se in clima di commedia brillante, o al suo mestiere di attrice. Ma anche se non tutto è perfettamente riuscito è difficile non ammirare, in VOLTATI EUGENIO la grande maturità di Comencini. Di commedie come questa, che vi fanno sorridere ma graffiano con incisività nel nostro modo di vivere, non ne fa più nessuno: non gli americani, non gli inglesi, né i francesi, o quelli dell'Est. Dietro al film si sente costantemente la volontà di sviluppare un discorso ben preciso (anche se talvolta un po' schematico): ma la tenerezza del regista per i suoi personaggi fa sì che lo spettatore finisce con l'identificarsi. Anche se questi, ogni tanto, gli sembrano un po' scritti sopra le righe. Se Comencini esamina il nostro modo di vivere con umorismo e intelligenza, è però nello sguardo che egli pone sui giovani che il film vola più in alto. Basterebbero tre primi piani di Eugenio, un paio delle sue battute, il suo incontro (la cosa più bella del film) col ragazzino di borgata che lavora dal verduraio, per apprezzare la dote che fa di Comencini un caso unico al mondo. Quello di un regista di cinema che riesce a mostrarci un ragazzo giusto, sia nei rapporti coi "grandi" che in quelli coi compagni."


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